Senza sentirsi accolti è difficile porsi con serenità e comunione d’intenzioni all’ascolto. I primi passi all’interno di un libro, sono sempre speciali, perché determinano giocoforza il ritmo di quelli successivi. Ed ecco allora che mi accoglie una papera dallo sguardo diretto e fermo, come solo certi uccelli sanno mostrare, Sulla testa ha un uovo, con l’ala regge una gabbia nella quale sta una casetta a tre piani. Le zampe sono immote, non sembra voler muoversi ma suggerisce ugualmente l’intenzione di non voler star ferma, di fatto è libera, nulla la trattiene. Attorno al collo indossa un medaglione a forma di cuore che è un lucchetto. Brilla, prezioso. Davanti a sé un nano di Zucchero Filato (perché nell’ordine delle cose rilevanti, la surrealtà che diviene realtà si pone tra e prime), braccia incrociate dietro la schiena, ci da le spalle, per non spostare nemmeno un istante lo sguardo dalla sua papera e per mostrare a noi un copricapo che è corona e una chiave a mappa, grande quanto lui, che esplicita tutto quello che vorrebbe dirci e non ha tempo di fare, perché troppo impegnato a non perdere d’occhio quella papera che è sua.

La papera porta sul capo un trespolo, lo dicevo, sopra vi è poggiato un uovo che immagino protegga in nuce la consapevolezza di sé che manca al nano, la capacità di schiudersi agli altri nel momento in cui lo si è fatto con se stessi. E mentre le parole di Mila Pavićević raccontano di un nano che controlla la propria papera come un bene più che prezioso, l’ossessione, che è incertezza, si traduce nelle illustrazioni di Daniela Iride Murgia, che ci mostrano come l’oggetto del desiderio tenuto prigioniero sia divenuto carceriere egli stesso e detenga in sé gli strumenti utili al controllo.

La fiaba si chiude nello stile delle più classiche, giungendo a una risoluzione che lascia aperte tutte le possibilità, anche quella di ritornare allo stato iniziale delle cose che tutto ha messo in moto.
Ecco, è solo l’inizio. La fiaba d’apertura anticipata da un gatto nero e punteggiato di stelle la cui coda si fa serpente dalla lunga lingua sinuosa; Auror, sta nel frontespizio, il gatto di un Clown senza nome che vagava alla ricerca di qualcuno da far ridere con vere risate e il cui naso, per un casuale accidente, salì tra le stelle.

Sono amare, intense, surreali e ricche. Sono dolcissime queste fiabe che usano la surrealtà per ricondurre i desideri alla concretezza del reale, a governi che siano femministi o mulini che ritrovino il proprio vento. Sono fiabe che si radicano in quel tempo in cui ‘si diceva che…’ e germogliano poi sul terreno della concretezza, e infine tornare a muoversi nei sogni. O infrangerli in decine di pezzi, come se non fossero mai esistiti.
[…] la gente, passando, chiedeva: «Chi vive in quella casetta di neve in cima alla collina?»
Finché un giorno giunse un’eco: «Nessuno! È stato troppo tempo fa!»
Mila Pavićević usa con maestria il linguaggio delle fiabe, che Elisa Copetti traduce dalla sponda balcanica a quella italiana senza sbavature. Daniela Iride Murgia le illustra con accorgimenti raffinatissimi. Il tutto sulla strada morbida della meraviglia.
Titolo: La bambina di ghiaccio e altre fiabe
Autore: Mila Pavićević, Daniela Iride Murgia (Traduzione di Elisa Copetti)
Editore: Camelozampa
Dati: 2009, pp. 72, 12,90 €